La Medusa Dreams
Senza il precedente dell’arte popolare (Pop Art) non ci sarebbe quest’arte di Leonardo Cimolin. E non tanto per il gusto neo-realistico delle sue sculture di vetro che si rifanno a elementi reali come gli spaghetti o alle Meduse, bensì per la loro quotidianità che sfiora l’inutilità dell’essere se non quella di piacere.
L’Ottocento in arte fu, grazie al positivismo, combattuto fra naturalismo e realismo aprendo così un dibattito che ci ha portato ai nostri giorni con una percezione diversa di queste questioni legata alla “banalità del quotidiano” che ci deriva dal nostro essere alienati da desiderio di consumo.
Non voglio dare una lettura delle opere di Cimolin errata, cioè quale critica al sociale, ma è altrettanto vero che oggi gli elementi critici sono già insiti nelle cose ed è nel loro uso corretto o meno il fondamento della criticità. Qui in queste opere Medusa potrebbe essere l’elemento surreale il piano della criticità pur essendo l’opera molto bella e convincente per la sua plasticità, visivamente molle per la sua lucentezza dovuta al materiale: il vetro.
E queste percezioni sia tattili che oculari sono senz’altro provenienti dalla sfera del reale del materiale con cui sono fatte. La Medusa nel suo ambiente marino è trasparente e lucida ed inoltre amorfa , policentrica, si muove nelle diverse direzioni senza centralità nervosa. Così ci appaiono le sculture in vetro di Leonardo Cimolin ad una prima lettura.
In verità esse hanno un passaggio primario che le fa discendere da alcuni elementi strutturali e tipici della sua opera. Da una parte Il Villaggio Africano (1994) dove con alcuni segni alla Tombly egli ci dà un insieme di veduta descrittiva che nel trambusto pittorico della tela può essere interpretato come un villaggio africano, poi ripreso da “con gli occhi di bambino” (2008), lastra di vetro che descrive un paesaggio anche qui costruito per zone e segni soprattutto nella parte alta. Ma è con Baby Dreams (2009) che egli si stacca dal segno , dalla grafia, per erigere e riscattare il segno stesso in grumo autoeretto che lo fa diventare scultura. Fra l’altro molto somigliante all’idea di inconscio che da grumo tende a darsi una forma esteriore e porsi all’esterno come cosa in sé cosciente. Quindi struttura autonoma. In definitiva scultura. Ma siamo nell’ambito della surrealtà. Passaggio necessario per superare il reale e ritrovare quella banalità dell’esistere quotidiano tipica della sua intelligente opera.
La banalità richiede il distacco giusto dall’opera. Richiede l’occhio disinteressato alla forma insomma esige il non riconoscimento o meglio il non intervento che la caratterizzi e quindi le dia un senso. L’artista qui dev’essere talmente bravo come uno spadaccino che sa cogliere la difficoltà dell’avversario e sa fermarsi in tempo per calcolarne la stoccata finale. Così Leonardo Cimolin dopo aver calcolato il materiale e la sua morbida fluidità, così il suo colore, sa di dover dire alt al maestro vetraio e quindi dare anche a noi quel senso di distacco che resta tutto compreso nell’opera. Il nome Medusa e solo la mediazione fra la visione e la concezione concreta dell’opera.
Inoltre la “melanconia” pervade tutta questa sua opera in vetro e lo si ricava questo senso dal fattore: riflesso. Il vetro dà trasparenze impossibili legate alla lucentezza propria, al colore, ma soprattutto alla luce. La luce trasforma le opere per una somiglianza concreta al vero. Non reale, né naturale, ma vero! Il vero comprende la verità che è coscienza dell’essere che si riversa nella concretezza della vita,nella sua pienezza senz’altra nostalgia che la Storia grande non lo riguarda. Lo riguarda, semmai, quella piega della Storia non seguita dal mondo, che gli è contraria che tenta di risolvere il problema di un unico vissuto del tutto personale e che dà adito al proprio racconto popolare. Ecco di nuovo il Pop di Leo Cimolin.
Boris Brollo
Without there having previously been popular art (Pop Art), we would not have the art of Leonardo Cimolin. And it is not so much for the neo-realistic manner of his sculptures in glass whose subjects refer to real elements like spaghetti or Meduses, but also for their everyday manner that brush lightly past the uselessness of being if not even of pleasing the spectator.
Art in the eighteen-hundreds, thanks to Positivism, struggled between naturalism and realism, opening a debate that has lead us to the present time with a different perception of these matters; perceptions that are tied to the banality of everyday life that result from our being alienated by the desire of consumerism.
I do not want to give out a wrong reading of the artwork of Cimolin, as a criticism of society, but it is also true that now all the critical elements are already innate in things and it’s in their correct or incorrect use that we can find the basis of the criticism. Here, in these artworks, Medusa could be the surreal element, the plan of criticism, even though the artwork is so beautiful and convincing in its plasticity, visibly soft for its brightness due to the material in which it has been made, that is glass.
And these perceptions that are visual and tactile at the same time come without a doubt from the reality of the material in which they are made. Medusa in its sea atmosphere is transparent and shiny and also amorphous, policentric; it moves in different directions without a nervous centrality. Thus appear Leonardo Cimolin’s sculptures at first sight.
Truthfully, these artpieces have gone through a primary passage that makes them derive from structural and typical elements of his artwork. On one side “Il Villaggio Africano” (The African Village) of 1994 where with some marks, similar to Tombly’s, the artist gives us a decriptive overview that in the pictorial bustle of the canvas can be interpreted as an African village, then recaptured in “con gli occhi di bambino” (with childlike eyes) of 2008, a glass sheet that describes a landscape that has been rendered here, too, by areas and marks especially in the upper part. But it is with “Baby Dreams” of 2009 that the artist separates himself from marks, from the graphic signs, to build and redeem these signs in self-erected clots that become sculpture. This is very similar to the idea of the unconsciousness that from clots spread out into external shapes and set themselves out as a conscious entity, thus becoming an autonomous structure, in the end, a sculpture. But we are in a surreal ambiance. A necessary passage to overcome reality and find once more that banality of everyday being, a typical characteristic of his clever work.
Banality requires the right detachment from the artpiece. It requires an eye that is indifferent to shape, in short it requires the artist not to fully recognize or even better his non-intervention that will characterize the work of art, thus giving it sense. The artist in this case must be as good as a swordsman when he is able to understand the opponent’s weakness and knows when to stop in time for the final strike. So, Leonardo Cimolin, after having reflected upon the material and its soft fluidity and its colour, knows when to stop the glass master and so gives us too that sense of detachment that remains all in one with the artpice. The name Medusa is only the mediation between the vision and the actual conception of the artpiece.
In addition, “melancholy” permeates all his artwork in glass and we can sense this from this one factor, which is reflection. Glass allows incredible transparencies due to its own brilliancy, colour and most of all light. Light transforms the artpieces bringing them close to reality. Not real, not natural, but true! What is true contains truthfullness which is the consciousness of the actual being that pours itself over life’s reality, in its own fullness, without any nostalgia, if not that History is concerned about it. Instead, that side of History, that is not followed by the world, that is against it, and that tries to solve the problem of their own personal lived lives, which gives way to their own personal stories, is the history that the artist is concerned with.Here lies the Pop Art of Leo Cimolin.
Boris Brollo